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'Contributo Automazione': La proposta di legge di Stefano Bacchiocchi

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Il dibattito sulla tassazione dell'automazione non è una novità. Negli Stati Uniti Bernie Sanders ha lanciato la sua crociata contro quello che definisce "la guerra degli oligarchi tecnologici contro i lavoratori", proponendo una robot tax per arginare lo tsunami occupazionale che rischia di cancellare cento milioni di posti di lavoro nel prossimo decennio. Ma mentre oltreoceano il dibattito resta ingabbiato tra retorica politica e resistenze ideologiche, in Italia qualcuno ha deciso di scendere nel concreto con una proposta che non vuole contare i robot ma tassare i risultati.

Il 25 settembre scorso, nelle sale del Senato, è stata presentata la proposta del "Contributo Automazione", un meccanismo fiscale che ribalta l'approccio tradizionale alla questione. Non si tratta dell'ennesimo tentativo di frenare il progresso tecnologico con una tassa punitiva, ma di un sistema che guarda ai numeri di bilancio per riequilibrare un sistema fiscale che oggi premia chi sostituisce le persone con le macchine. A proporre questo cambio di paradigma è il Dott. Stefano Bacchiocchi, commercialista esperto in privacy, antiriciclaggio, terzo settore, no-profit, paghe e contributi, nonché docente presso l'Università degli Studi di Brescia, dove insegna Contabilità generale e bilancio.

Bacchiocchi non è un luddista che sogna di distruggere i telai meccanici del ventunesimo secolo. La sua carriera professionale è costruita sulla digitalizzazione dei processi aziendali, sulla trasformazione degli obblighi normativi in leve di crescita. Ma è proprio questa esperienza sul campo, a contatto quotidiano con le imprese e con i lavoratori che le popolano, che lo ha portato a una constatazione scomoda: il sistema fiscale italiano, come quello di gran parte del mondo occidentale, è ancora fermo al secolo scorso. Tassa il lavoro umano mentre ignora completamente la ricchezza prodotta dalle macchine. E questa asimmetria, se non corretta, rischia di produrre tensioni sociali che nessuna società occidentale è attrezzata per gestire.

Il meccanismo: tassare l'effetto, non la causa

Quando chiedo a Bacchiocchi di spiegare nel dettaglio come funziona il meccanismo fiscale del Contributo Automazione, la sua risposta è netta e diretta. "Lasciatemi spiegare il meccanismo con estrema chiarezza, perché la forza di questa proposta sta proprio nella sua semplicità operativa che spazza via ogni scusa burocratica. Dimenticate l'idea impossibile di contare i robot o di definire tecnicamente un algoritmo: noi guardiamo il risultato economico, punto e basta. La logica è che non si tassa lo strumento, ma il reddito aggiuntivo che l'impresa ottiene sostituendo le persone."

È una scelta radicale che evita la trappola in cui sono caduti tutti i tentativi precedenti di tassazione dell'automazione, dal Parlamento Europeo che nel 2017 bocciò una proposta simile proprio per l'impossibilità di definire cosa fosse un "robot" tassabile, alle difficoltà tecniche che hanno frenato iniziative analoghe in altri paesi. Bacchiocchi prosegue entrando nel dettaglio del calcolo: "Il calcolo si fa sui numeri che le aziende hanno già in pancia e che dichiarano obbligatoriamente: prendiamo principalmente i ricavi e i costi del personale. Lo Stato stabilisce un benchmark settoriale, ovvero quanto un'azienda media di quel settore spende in forza lavoro rispetto ai ricavi. Se un'impresa spende drasticamente (c'è una soglia di tolleranza) meno di quel benchmark perché ha automatizzato, emerge una differenza positiva, un 'costo atteso' che non c'è più. È su quella differenza, che rappresenta il vantaggio competitivo netto dell'automazione, che si applica il contributo. In pratica: niente nuove scartoffie, usiamo i dati di bilancio e tassiamo solo l'extra-profitto derivante dal non pagare stipendi umani."

La domanda successiva riguarda chi esattamente sarà chiamato a pagare questo contributo. Bacchiocchi ha voluto inserire paletti chiarissimi, ed è evidente che conosce bene le preoccupazioni del tessuto imprenditoriale italiano. "Anche qui, sgombriamo il campo da equivoci: non si spara nel mucchio. I soggetti obbligati sono solo quelle imprese dove l'automazione ha creato una sproporzione evidente e misurabile tra ricavi e costi del personale."

La protezione delle piccole e medie imprese, che costituiscono la spina dorsale dell'economia italiana, è centrale nella proposta. "Ho voluto inserire dei paletti chiarissimi per proteggere il tessuto produttivo più fragile. Le start-up, le microimprese e le attività nei primi anni di vita sono totalmente esentate, così come gli studi professionali e settori specifici come la sanità. Inoltre, le aliquote non sono fisse ma progressive e modulate in base alla dimensione e al settore. L'obiettivo è colpire la grande capacità contributiva che oggi sfugge al fisco, non il piccolo imprenditore che cerca di sopravvivere o di modernizzarsi; chi investe in tecnologia collaborativa o formazione ha addirittura accesso a crediti d'imposta ed esenzioni."

Gli chiedo allora come vengono definiti e misurati i processi considerati "automatizzati" ai fini della tassa, consapevole che questo è stato il tallone d'Achille di tutti i tentativi precedenti. La risposta di Bacchiocchi rivela quanto sia stata studiata questa proposta proprio per evitare gli errori del passato. "Questa è la trappola in cui sono caduti gli altri tentativi internazionali, e io l'ho evitata con una scelta di campo radicale: non definiamo tecnicamente il 'robot' o l''automazione'. Sarebbe una battaglia persa in partenza, perché la tecnologia corre più veloce delle definizioni di legge."

La scelta concreta emerge in tutta la sua chiarezza: "Il mio approccio è pragmatico: misuriamo l'effetto, non la causa. Se i tuoi ricavi tengono o salgono mentre i costi del personale crollano sotto la media del settore, allora c'è automazione rilevante, che sia un braccio meccanico o un software invisibile poco importa. L'automazione diventa tassabile solo e soltanto quando sostituisce il lavoro umano in modo misurabile."

Per garantire l'affidabilità dei dati, Bacchiocchi ha previsto un sistema di controllo professionale: "Per garantire che nessuno faccia il furbo sui numeri, abbiamo previsto che i dati siano certificati da professionisti abilitati che ci mettono la faccia e la firma con visti di conformità sotto il controllo ministeriale."

Passo quindi a chiedergli dell'integrazione del contributo con le altre forme di tassazione già esistenti, un aspetto cruciale per capire se si tratta di un ulteriore aggravio fiscale o di un riequilibrio del sistema. "Il Contributo Automazione non è una tassa che si somma alle altre, ma è un pezzo mancante del puzzle che va a riempire un vuoto clamoroso", spiega Bacchiocchi con una metafora efficace. "Oggi il nostro sistema fiscale e previdenziale è zoppo perché si basa quasi solo sul lavoro umano, ignorando totalmente la ricchezza prodotta dalle macchine. Questa misura è un tributo di scopo che colpisce una capacità contributiva nuova: il vantaggio economico puro generato dalla sostituzione dell'uomo."

È importante sottolineare, ed è un punto che Bacchiocchi tiene a chiarire, che la proposta non tocca gli incentivi esistenti: "Non andiamo a toccare gli incentivi esistenti: Industria 4.0, 5.0 e Patent Box restano lì dove sono. Noi interveniamo solo per ristabilire un'equità di base, correggendo l'assurdità per cui oggi chi automatizza e licenzia si trova a pagare meno tasse e contributi di chi mantiene i dipendenti. È un'integrazione necessaria per modernizzare un fisco fermo al secolo scorso."

La governance: un sistema vivo che si adatta

Una proposta legislativa vale quanto la sua capacità di adattarsi al cambiamento, ed è evidente che Bacchiocchi ha riflettuto a lungo su questo aspetto. Gli chiedo che strumenti propone per monitorare e aggiornare nel tempo l'efficacia del contributo, considerando la velocità con cui evolve il panorama tecnologico.

"Non abbiamo scritto questa proposta sulla pietra, sappiamo bene che il mondo cambia in fretta. Per questo abbiamo previsto una governance dinamica e intelligente", risponde. La fase iniziale è progettata per essere cauta e sperimentale: "Partiamo con una fase pilota limitata ai settori ad alta intensità tecnologica per calibrare bene gli indicatori e vedere come reagiscono le imprese."

Ma il cuore del sistema di adattamento sta nei benchmark settoriali: "Ma soprattutto, il sistema si basa su benchmark settoriali che non sono fissi: verranno aggiornati periodicamente per riflettere l'evoluzione tecnologica e demografica reale. C'è un comitato di gestione composto da esperti, parti sociali e imprese che avrà il compito di fare valutazioni d'impatto periodiche e, se serve, rimodulare parametri e aliquote. Non è una tassa statica, è uno strumento vivo che si adatta alla realtà."

La questione della destinazione delle risorse raccolte è cruciale per la credibilità della proposta. Troppo spesso in Italia nuove imposte vengono giustificate con nobili finalità per poi finire disperse nel bilancio generale dello Stato. Chiedo quindi a Bacchiocchi come garantire che le risorse siano effettivamente destinate a progetti di riqualificazione e supporto ai lavoratori.

"So bene che la paura è che i soldi finiscano nel grande calderone della spesa pubblica improduttiva, ma abbiamo blindato tutto", risponde con decisione. "Il gettito non finisce nella fiscalità generale, ma in un Fondo Autonomo, separato e tracciabile fino all'ultimo centesimo. È un tributo di scopo: per legge, quei soldi possono essere usati solo per pensioni, formazione e welfare."

La governance del Fondo è stata strutturata per resistere alle pressioni politiche: "E per evitare che la politica ci metta le mani impropriamente, la gestione è affidata a una governance multilaterale con dentro tutti: istituzioni, sindacati, imprese ed esperti indipendenti. C'è l'obbligo di reporting pubblico e controlli esterni: più garanzie di così è difficile immaginarne."

Il nodo delle critiche: innovazione vs equità

Arriviamo al cuore delle controversie. La critica più frequente alle proposte di tassazione dell'automazione riguarda il presunto freno all'innovazione e alla competitività. È l'argomento che ho sentito reiterare infinite volte nelle discussioni su questi temi, e sono curioso di capire come Bacchiocchi lo affronta. La sua risposta non lascia spazio a dubbi.

"Siamo seri, questa è l'obiezione più ridicola e priva di fondamento che mi sento ripetere. Chi sostiene che un contributo fiscale freni l'innovazione vive fuori dalla realtà o è in malafede", attacca senza mezzi termini. La sua argomentazione è costruita sull'esperienza pratica di chi lavora quotidianamente con le imprese: "Un imprenditore non sceglie l'automazione per risparmiare sulle tasse, la sceglie perché è dannatamente più efficiente: le macchine non si ammalano, non vanno in ferie e producono h24. Pensare di fermare questa rivoluzione con una tassa è come credere che nell'Ottocento avremmo salvato i produttori di carrozze tassando le automobili: la tecnologia superiore vince sempre, a prescindere dal fisco."

Bacchiocchi non si ferma qui e smonta anche l'argomento della delocalizzazione, un classico spauracchio agitato ogni volta che si parla di nuove imposte: "E per favore, smettiamola anche con la favola della delocalizzazione: le aziende non scappano per le tasse, scappano per la burocrazia, per la giustizia lenta, per la mancanza di filiere, per la mancanza di infrastrutture, o per il costo del lavoro umano troppo alto, problemi che noi non aggraviamo affatto. Chi usa questi argomenti sta solo cercando (perché?) di proteggere quelle imprese che, oggi, non si assumono la loro responsabilità sociale."

La stoccata finale è particolarmente pungente: "È ancora più assurdo quando queste risibili critiche provengono da piccoli imprenditori o, addirittura, dipendenti! Che sono proprio quelli non solo esentati dall'imposta ma quelli che ne ricaverebbero, direttamente, le risorse!"

Diventa quindi essenziale chiedergli quali sono i principali benefici sociali che questo contributo può garantire. I numeri che cita non sono trascurabili. "Parliamo di numeri e di vita vera: stimiamo un gettito a regime di circa 8 miliardi di euro l'anno. Questi non sono spiccioli, sono l'ossigeno che serve per tenere in piedi il nostro sistema sociale che sta crollando sotto il peso dell'invecchiamento."

La destinazione primaria delle risorse è chiara: "Il beneficio principale è la sostenibilità delle pensioni, che oggi sono a rischio perché ci sono sempre meno lavoratori umani a pagarle. Ma non solo: queste risorse servono a finanziare la formazione continua e la riqualificazione di chi perde il posto, perché non possiamo permetterci di lasciare indietro nessuno. È un meccanismo di equità pura: prendiamo una parte della ricchezza prodotta dalle macchine per garantire una vita dignitosa alle persone."

Gli chiedo allora in che modo il contributo può mitigare gli effetti negativi dell'automazione sul mercato del lavoro. È un tema su cui molti economisti hanno posizioni diverse, alcuni sostengono che la tecnologia crei sempre più lavoro di quello che distrugge, citando le precedenti rivoluzioni industriali. Bacchiocchi non è d'accordo, e lo dice senza mezzi termini.

"Dobbiamo smetterla di raccontarci la favola che 'la tecnologia crea più lavoro di quello che distrugge'. Non è una legge scientifica, è una speranza che oggi viene smentita dai fatti. Questa volta la rivoluzione è diversa: colpisce i colletti bianchi, i contabili, i bancari, gli avvocati, con una velocità che non lascia scampo."

La funzione del contributo emerge con chiarezza: "Il contributo serve proprio a mitigare questo impatto devastante. Finanzia ammortizzatori sociali veri e percorsi di ricollocamento per evitare che la disoccupazione tecnologica si trasformi in una bomba sociale. Se non interveniamo ora redistribuendo i vantaggi dell'automazione, ci ritroveremo con tensioni sociali ingovernabili e una classe media impoverita che non potrà nemmeno comprare i prodotti realizzati da quei robot tanto efficienti."

L'ultima domanda riguarda il ruolo dello Stato. In un'epoca in cui il dibattito oscilla tra chi invoca un ritorno dello Stato regolatore e chi predica il liberismo più puro, chiedo a Bacchiocchi quale debba essere il ruolo delle istituzioni nella regolazione dell'automazione.

"Lo Stato non può più stare a guardare come uno spettatore passivo mentre il mondo cambia. Deve riprendere in mano le redini e governare il processo", risponde con una convinzione che non ammette tentennamenti. "Il ruolo dello Stato è quello di riconnettere la realtà produttiva, fatta di algoritmi e robot, con il patto sociale che tiene insieme il Paese. Non si tratta di fermare il progresso, ma di trasformare un problema di bilancio in una leva di politica industriale."

L'equità nella competizione è centrale nel suo ragionamento: "Lo Stato deve garantire che la competizione sia leale, perché oggi chi automatizza gode di un vantaggio fiscale ingiusto rispetto alle piccole imprese che danno lavoro alle persone. Dobbiamo promuovere un modello in cui l'innovazione sia al servizio della collettività e non fonte di esclusione. Se lo Stato abdica a questo ruolo, il costo sociale sarà insostenibile."

Un equilibrio da costruire

La proposta del Contributo Automazione presentata da Dott. Stefano Bacchiocchi in Senato rappresenta un tentativo pragmatico di affrontare uno dei nodi più critici della trasformazione tecnologica in corso. Attraverso un meccanismo fiscale che tassa gli effetti economici dell'automazione piuttosto che la tecnologia stessa, la proposta cerca di riconciliare innovazione e coesione sociale, evitando sia l'utopia luddista di fermare il progresso sia la distopia di un'economia dove i benefici della produttività si concentrano in poche mani mentre i costi sociali si distribuiscono sulla collettività. Con un gettito stimato di otto miliardi di euro annui destinati a un Fondo Autonomo per pensioni, formazione e welfare, e con una governance dinamica progettata per adattarsi al cambiamento tecnologico, il Contributo Automazione si pone come strumento di riequilibrio in un sistema fiscale ancora ancorato a un'economia del lavoro umano che sta rapidamente scomparendo. Resta da vedere se la proposta troverà la strada legislativa per diventare realtà, ma il dibattito che ha innescato è già di per sé un segnale che la questione non può più essere rimandata.